Il 23 gennaio, sulle colonne del Piccolo, Giorgio Perini affermava che a suo giudizio la difesa dell’extradoganalità del porto franco di Trieste non possa poggiare soltanto sulle motivazioni giuridiche, ma che esse debbano essere “accompagnate con motivazioni economiche e geopolitiche che dimostrino che il beneficio per il porto di Trieste non è fine a sé stesso ma si traduce in vantaggi per ampie regioni dell’Ue (l’area danubiana per esempio)” e che occorra perciò “sensibilizzare tutti gli Stati interessati perché sostengano, soprattutto in sede di Consiglio Ue, l’azione del nostro governo“. “Senza questa azione diplomatica” – concludeva Perini – “anche l’eventuale iniziativa governativa in Europa sarebbe solo un supporto di facciata“.

Si tratta di opinione pienamente condivisibile.

La difesa del porto franco di Trieste transita attraverso una potente azione diplomatica, che occorre ne valorizzi la funzione, consistente nell'”assicurare che il porto ed i mezzi di transito di Trieste possano essere utilizzati in condizioni di eguaglianza da tutto il commercio internazionale e dalla Jugoslavia, l’Italia e gli Stati dell’Europa Centrale” (art. 1 All. VIII al Trattato di Pace di Parigi del 1947). Funzione destinata a propiziare il benessere della vasta area centroeuropea e non della sola città di Trieste, dunque, e che già ispirava la decisione di Carlo VI di costituirlo.

E’ impellente perciò una decisa attività diplomatica indirizzata a quegli Stati che dei benefici del Porto Franco debbono essere i destinatari.