3.1 Porto e Trasporti
3.1.1. Istituzione dell’Assessorato all’economia del mare
La prossima Giunta comunale dovrà testimoniare la propria attenzione nei riguardi dell’economia del mare attraverso l’istituzione di un assessorato ad essa dedicato che – replicando a livello municipale quanto, grazie all’opera dell’International Propeller Club, si sta perseguendo a livello nazionale attraverso il ripristino di un Ministero dedicato al mare – renda stabile ed organica la proficua collaborazione tra il Municipio e le altre istituzioni nella gestione delle tematiche afferenti a tale cruciale comparto dell’economia, che si ha l’impressione sia stata fin qui il frutto dell’iniziativa personale di singoli pubblici amministratori.
3.1.2. Nessuna richiesta di IMU sui beni utilizzati all’interno dei punti franchi
La futura Giunta si deve impegnare per dare definitiva soluzione al problema, denunciato in modo corale dagli operatori portuali, della perdurante insistenza del Comune ad assoggettare ad IMU i beni utilizzati all’interno dei punti franchi, affinché il Comune si decida a dare piena esecuzione anche sul piano fiscale al regime del Porto Franco internazionale – che consente al Comune (artt. 5 e 9 All. VIII) di incassare solo quei tributi che siano il corrispettivo di servizi prestati in ambito portuale (e l’IMU non corrisponde ad alcun servizio prestato in porto dal Comune) – e a promuovere l’attuazione dei vigenti accordi tra Stato e Regione, che attribuiscono a quest’ultima di definire in modo autonomo le modalità di riscossione delle imposte locali anche in ambito portuale.
A questo riguardo la richiesta di passare, nell’attuazione dell’extradoganalità del Porto franco, dalle parole ai fatti, è un richiamo trasversale rivolto dall’intero ceto portuale non solo a governo e Regione, ma anche al Comune.
3.1.3. Il Porto motore di rigenerazione di una zona periferica a ridosso del Porto Nuovo
Tutte le città-porto (Amburgo, Rotterdam, Singapore, Venezia, per citarne alcune) sono contraddistinte da una piena immedesimazione tra la città e il suo scalo.
Tale legame si registra anche nel rapporto tra Trieste e il suo Porto Franco internazionale, ma si regge su un delicato equilibrio che richiede costante cura e che, quantomeno negli ultimi vent’anni, non sempre nella nostra città ha ricevuto tutte le attenzioni necessarie.
Desideriamo dunque stimolare l’Amministrazione comunale a rinsaldare il rapporto tra città e porto.
Ci sono varie iniziative che possono rivelarsi utili al riguardo, ma oggi per ragioni di sintesi ne vorremmo indicare solo una, forse la più urgente:
Individuare un’area, alle spalle del porto nuovo, dove promuovere l’insediamento di attività (bar, ristorazione, fitness) che – come accade nel Reeperbahn di Amburgo o nel Clarke Quay di Singapore – favoriscano la socializzazione tra la comunità che opera nel porto e la cittadinanza. Ciò consentirebbe la rigenerazione di un’area periferica posta a ridosso del Porto Nuovo, e al contempo di rendere più vivace ed intenso il legame tra la comunità internazionale che anima il porto (Tedeschi, Danesi, Ungheresi, Turchi …) e la comunità triestina.
3.1.4. Infrastrutturazione delle direttrici Porto / retroporto
Sotto la conduzione D’Agostino / Sommariva il Porto di Trieste ha iniziato un percorso trasformativo.
Freeste, Fernetti, Prosecco, Coselag (così come gli investimenti danesi, ungheresi e tedeschi nel Porto) sono altrettante iniziative che – nel quadro offerto dal regime di Porto Franco – candidano lo scalo triestino ad un ruolo di propulsore dell’area centroeuropea, per un verso grazie alle caratteristiche logistiche del Porto, per altro verso in ragione della possibilità di attrarre nel retroporto l’insediamento di attività industriali avanzate che, in una chiave di ricollocazione della nostra città nell’ambito delle catene globali del valore, pongano a sistema le potenzialità che caratterizzano Trieste grazie all’eccellenza della sua ricerca, alla sua capacità logistica e alla disponibilità di spazi.
E’ diffuso, tra gli operatori portuali, il convincimento che nel prossimo futuro il nostro scalo –per le ragioni che ho appena illustrato – attrarrà volumi di traffico assai superiori agli attuali, e che ciò si rifletterà sull’economia e sulla demografia cittadine.
Per assecondare la trasformazione in corso e consentire un armonioso fluire delle merci, specie di quelle destinate alle zone extradoganali dove ne avverrà la lavorazione industriale, appaiono indispensabili alcuni sforzi progettuali di cui è necessario il Comune si faccia carico.
Il primo consiste nel porre mano alla viabilità comunale a servizio del porto nuovo e dei flussi tra lo scalo e le zone industriali retroportuali, realizzando adeguati collegamenti che migliorino la rete viaria già esistente. Le infrastrutture di cui oggi dispone il nostro territorio, appena sufficienti a supportare il traffico attuale, è impossibile reggano l’impatto dei flussi che l’aumentato numero di Terminal e operatori apporterà alla nostra città, ed è dunque necessario porvi mano.
3.1.5. Un nuovo piano della mobilità
L’imminente sviluppo dei traffici al quale ho appena accennato impone un ulteriore sforzo ideativo, consistente nel ripensare il nostro datato piano della mobilità.
E’ impellente infatti rimeditarne i contenuti – come pare l’amministrazione in carica abbia lodevolmente dichiarato di accingersi a fare – allo scopo di anticipare e soddisfare le future necessità di una città assai più popolosa rispetto a quella in declino demografico che oggi conosciamo.
Quando infatti, tra non molto, si inizieranno a cogliere i frutti del rilancio del nostro scalo e degli investimenti stranieri che lo stanno potenziando, sarà inevitabile una inversione del trend demografico della nostra città.
Vanno dunque incentivati la mobilità sostenibile e il trasporto pubblico e limitato il traffico privato, con pedonalizzazioni estese e l’eliminazione di aree di parcheggio in centro città (torneremo su questo concetto): a Trieste, in particolare, occorre restituire le rive alla mobilità pedonale, iniziativa che sarebbe in grado, da sola, di ridisegnare radicalmente il frontemare. New York, in questo senso, ha messo in cantiere la realizzazione di interi quartieri pedonali e anche Parigi ha scelto di stanziare 300 milioni di euro per la realizzazione di una capillare rete di piste ciclabili.
Il modello è quello delle “fifteen minutes cities”, ovvero delle città dove tutto (shopping, lavoro, svago, cultura) sia raggiungibile in un tempo massimo di 15 minuti a piedi, in bicicletta o con un mezzo pubblico, con un radicale ripensamento della vocazione di ampie aree cittadine ora collocate ai suoi margini periferici, altrimenti destinate – se non s’inverte la rotta oggi intrapresa – allo sterile ruolo di dormitori.
Nel medesimo contesto serve un piano per incrementare ulteriormente la sicurezza stradale sul territorio, ampliando la rete dei mezzi pubblici anche con veicoli a guida autonoma su circuiti dedicati.
Va incentivata e sostenuta l’urbanizzazione inclusiva e sostenibile e la capacità di pianificazione e gestione partecipata e integrata degli insediamenti.
3.1.6. Trieste, città ad idrogeno
Il nostro Porto è protagonista di una trasformazione energetica in chiave sostenibile,
essendosi aggiudicato due progetti europei, rispettivamente miranti (i) all’elettrificazione delle banchine, con l’obiettivo di ridurre le emissioni dei motori delle navi nel porto, e (ii) alla progettazione preliminare di un deposito di stoccaggio di Gnl in Porto.
Quel che si fa nello shipping sarebbe agevolmente replicabile nella mobilità, assecondando lo sviluppo dell’utilizzo dell’idrogeno nell’ambito della decarbonizzazione del settore energetico in Italia e della Hydrogen Strategy europea, e di cui è recente testimonianza il progetto di conversione delle centrali termoelettriche di A2A (tra le quali quella di Monfalcone) da carbone a gas naturale, idrogeno o miscele gas naturale/idrogeno.
L’idrogeno – gas che può essere prodotto direttamente in loco attraverso un processo di elettrolisi dell’acqua e che il Green New Deal europeo ipotizza possa coprire un quarto della domanda energetica europea nel 2050 – sembra infatti avere prospettive e caratteristiche per garantire una mobilità ecosostenibile dell’intero sistema dei trasporti, incluse le nostre autovetture. In particolare se l’energia elettrica proviene da fonti rinnovabili, l’idrogeno ha di fatto un costo ambientale nullo.
Anche con riguardo alla mobilità la nostra amministrazione potrebbe ispirare la propria azione a quanto altri già fruttuosamente stanno facendo nel nostro Paese e all’estero. Prendiamo il caso di Trento, dove l’alimentazione ad idrogeno è utilizzata nel trasporto pubblico locale da quasi un ventennio allo scopo di creare un collegamento alternativo (dal punto di vista dell’alimentazione) tra l’Europa meridionale e settentrionale.
La Provincia autonoma di Bolzano, con il proprio Piano strategico per l’idrogeno inquadrato nel progetto “Brenner Green Corridor“, mira a propria volta a garantire il flusso di traffico sul corridoio tra Italia e Nord Europa e a renderlo più sostenibile per il futuro, grazie alla tutela della biodiversità e al contenimento degli effetti del cambiamento climatico.
Questa lungimirante poIitica ha consentito a Bolzano di realizzare, presso l’accesso alla Merano-Bolzano dell’Autostrada del Brennero, l’unico luogo di approvvigionamento dell’Idrogeno aperto al pubblico in Italia, precursore della realizzazione di due altre stazioni di servizio a idrogeno, che saranno completate dall’ENI entro il 2021 a San Donato Milanese e nella terraferma veneziana, e di altre otto che l’Autostrada del Brennero di accinge a realizzare sulla A22.
Diversi i vantaggi che si realizzerebbero se anche Trieste optasse per una scelta di questo tipo: in primo luogo il miglioramento della qualità dell’aria. Ricordiamo che l’inquinamento da PM10 crea a Trieste un costo sociale pro-capite annuo che, seppur in linea con la media UE (1250 euro), esprime nella nostra città un valore assoluto di 139 milioni, stando ai dati divulgati dall’European public health alliance.
La scelta dell’idrogeno contribuirebbe poi alla tutela dell’ambiente: già oggi l’idrogeno presenta la caratteristica di essere un vettore energetico e una risorsa rinnovabile pressoché inesauribile, in quanto largamente presente in natura sotto forma di acqua.
Se si ipotizzasse di sollecitare il comparto della ricerca e industria triestine verso lo studio e l’implementazione dell’idrogeno verde, ossia dell’estrazione dell’idrogeno dall’acqua attraverso l’elettrolisi, utilizzando energia a sua volta ricavata da altre fonti rinnovabili – come quella solare o eolica – si potrebbe addirittura ipotizzare di realizzare una filiera al 100% virtuosa.
Infine la creazione di una stazione di erogazione di idrogeno nella nostra città consentirebbe di attrarre i turisti sensibili al tema della sostenibilità, rafforzando il ruolo di Trieste quale cerniera della mobilità sostenibile tra l’est Europa e l’Italia.